Una storia nell'arte
Una storia nell'arte

IL LUME

 

Un saree rosso dell’India, sensuale regalo del compagno della mia vicina di casa.

Quando lo presi tra le mani seppi che non sarebbe rimasto anonimo a lungo.

È quel colore che ti divora gli occhi ed entra nel tuo sangue per scorrere con esso.

È tra la luce ed il buio, sta nel mezzo a placare gli estremi ma pulsa, vibra, per spingere lo sguardo oltre e richiamarlo a sé come amante geloso e avvolgente.

Eccolo vicino alla fiamma che, come donna, si trucca tra i ricami della lanterna ed illumina le parole.

Eccolo oltrepassare i libri e creare onde per allontanarsi e fondersi nell’oscurità, come l’altro volto della luna. Così la luce del mio animo, tra passione e conoscenza, oscilla, nell’arrestarsi e nello scorrere e si frantuma tra gli ornamenti della vita.

 

SAHARA

 

ll Fondo chiama l'impetuoso risalire del fuoco, ciò che turbina in un animo irrequieto ma all'apparenza sereno. Io ed il deserto, una comunione di essenze.

Tra le dune ho camminato per ascoltare il canto del vento che riduce i granelli di sabbia a finissima seta. È una voce estasiante densa di parole che fuggono e ritornano, penetrandoti a tal punto da muovere il desiderio di   partire, senza nulla, senza meta.

Terra di Siena bruciata che si schiarisce col sole… volevo catturarla ed impastarla sulla tela; non è riuscita come avrei desiderato ma le pennellate fremevano, trattenute e lanciate nel cielo. Deserto, deserto! Fiamme celate nel vissuto di nomadi appassionati che perdono il senno tra le voluttuosità di ocre vicine e lontane, di mondi e pensieri sotterrati, dimenticati. Lì ai confini della civiltà, ho assaporato con le piante dei miei piedi, troppo delicati, la rena calda del tardo pomeriggio. Mi ha accolta ed in lei mi sono adagiata, vivendo istante per istante, come se ogni attimo fosse l’ultimo. Un turbante bianco in testa per non disturbare i pensieri e gli umori d’intorno. Sentivo pace, poiché il mio peregrinare si univa al fremito di tutti i vagabondi. C’è quiete quando c’è consapevolezza e sapevo che il viaggio era la via della conoscenza, della sperimentazione, della prova e del coraggio. Chi ha paura di muoversi ha paura di sé stesso.

Ad occhi chiusi scivolavo nelle innumerevoli onde della terra e del tempo e ripromettevo a me stessa che quando sarei tornata da questo lembo di Africa, di anticamera, di arteria di un continente, che si fa più vivo più si penetra al centro, avrei sicuramente immortalato il calore e la sensazione lasciata nelle membra. Tentavo di ritrarne la quiete che avevo provato e tocco dopo tocco mi scoprivo impotente, si forzava il disegno ed il colore si ribellava. Il cuore pregava di lasciar andare la mente e così ho ceduto: la mano leggera arresa alla tavolozza, ai pennelli ansimanti, alla spatola un po’ anarchica, ha dato vita alla realtà del pellegrino, del nomade; i colori del fuoco, dell’acqua, dell’anima e della resa, il senso della vita, l’amore per essa.

 

LA TORRETTA

Addèntrati tra i boschetti della Villa Reale oppure scendi verso l’aperto spazio verde, lasciandoti alle spalle la raffinata corte del Piermarini e vai, vai giù, nel grande prato che si allunga creando una prospettiva a “V”. Era tutto studiato secoli fa, non si trascuravano i dettagli e il risultato era superlativo.

Quando ho scelto il posto per sedermi sul prato, a disegnare e dar vita alla Torretta, cercavo qualcosa che entrasse nel cuore e, dal giardino della Villa guardando l’armonico orizzonte smeraldo chiaro, mi sono ricordata che spostandosi a nord est oltre le infinite specie di alberi spuntava un ricordo del mio passato. Tutti quei pini nascondevano un segreto e giaceva tra il dondolio delle fronde. Se abbandoni il tuo corpo sul terreno umido sopra le radici delle piante, le senti parlare.

Sono tornata più volte sul luogo per terminare il disegno. Non si può continuare senza la luce giusta e Monet ce lo ha insegnato.

Era il principio di febbraio. Il parco in inverno ti accarezza con il suo umido silenzio, lasciando nelle narici un frammisto di odori di aghifoglie e cortecce, di terra scura addormentata, di nebbiolina appena sfiorata.

“Perché vieni nel giorno del sonno più profondo?” mi fu chiesto.

E il mio petto sussurrò: “Perché voglio stare sola e trovare una risposta”.

Sentii delle risate sottili seguite da brontolii. “Ci stai disturbando! Non ci sono risposte, c’è solo la vita, vai e cammina, vivi e saprai”.

Giunsi in un luogo dove gli alberi si aprirono e potei scorgere il prato affossarsi in una enorme circonferenza. Mi stesi al centro del cerchio e la luce intorno cambiò. Le piante ed il cielo divennero un liquefarsi di turchesi, blu e viola; fauni si mostrarono e sparirono, vicino e lontano, dietro ai tronchi. Apparve la Luna, grande e bianca; nel suo avvicinarsi al mio corpo si trasformò in veste di luce ed emise un suono mai udito. Colmò le mie membra ed il giorno e la notte furono un’unica dimensione, il mondo entrò in me ed io in esso. Non ebbi bisogno di chiedere altro, scoprii il mio segreto e lo sussurrai alla Torretta, muta custode del mio cuore.

IL PAESE DELL'ANIMA

Il grano è un filo che intona una danza eterna con infiniti steli, i quali si   porgono a Dio mostrando il capo florido e dorato, quasi a competere col sole che dà loro quella luce brillante e, quando dal cielo il vento soffia, tutti i chicchi di grano ancorati ai capelli della terra, prendono a muoversi l’uno verso l’altro. Ti si aprono le labbra nella meraviglia della visione; in quel momento comprendi perché gli uomini amino l’oro: è il colore del nutrimento, in ogni sua forma; sazia il corpo, lo spirito, la mente e la brama di potere. 

Intorno al “Paese dell’anima” l’oro abbonda ed è per questo che la gente è pacifica: non ha bisogno di cercarlo: riveste rombi di suolo disegnati da secoli.

Nelle estati calde soffia lo scirocco che ti abbraccia come un amante sensuale e tu non osi lamentarti, perché sai che la terra desidera le sue carezze. Stai lì a contemplare, dall’ombra di un ulivo, le onde che si creano tra le pennellate dei campi. Respiri a piene narici e riesci quasi a percepire anche la polvere che scivola tra gli steli ocra, ormai pronti alla raccolta. Li vedo, e li ho visti da quando ero bambina, i colli lievi, l’alternarsi di curve irregolari come i seni di tante adolescenti, il verde, la terra di Siena, i rosa, i vividi viola di fiori selvaggi, gli odori intensi, i profumi contrastanti e la dolce voce di Eolo, tenero compagno di giochi e ricordi. All’orizzonte un vecchio colle che si allunga in direzione di Metaponto, un’antica abbazia che cela storie sconosciute, un paesino bianco, assonnato e lento; l’argilla che lo circonda e cocci di Magna Grecia sparsi tra sentieri dimenticati. Gli odori e la quiete, le risate di donne burlone, gli uomini in piazza con una limonata e un giornale, le serate che sanno di carne alla brace, il vociare tra balconi vicini e il mercato ridente del venerdì. La sera che inizia alle dieci e la campagna che si alza presto. Lontano, quando il cielo è terso, si vede il golfo di Taranto; quanti uomini sono     approdati e ripartiti… Io rimango ad osservare questo piccolo angolo di mio paradiso.

Amo percorrere le strade di campagna che si aggrappano lungo i pendii e silenziose sfuggono allontanandosi verso altri arroccati centri. Tra gli zoccoli di un cavallo, al trotto, scorgo la terra rossa tra gli ulivi e sento che dagli occhi arriva al ventre, generosa, a sussurrare: “io sarò finché tu vivrai”. Questo è il paese dell’anima e questo non ne è che un piccolo scorcio.

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© Maria Cristina Primavera